Primi

Farinata

PI-farinata

Ingredienti:

Acqua 900 ml
Olio di oliva extravergine 1/2 bicchiere
Sale q.b.
Pepe una spolverata
Farina di ceci 300 g

Preparazione:

Mettete in una terrina la farina nella classica forma a fontana e versate al centro, un po’ alla volta, l’acqua. Mescolate il tutto per bene facendo attenzione ai grumi, fino ad ottenere un composto liquido e omogeneo, che lascerete riposare, mescolando di tanto in tanto, dalle  4-5 ore, fino ad arrivare alle 10 ore, coperto con un coperchio e fuori dal frigorifero.

Trascorso il tempo necessario, è probabile che si sarà formata della schiuma in superficie: toglietela con un mestolo forato. Aggiungete al composto il sale e mezzo bicchiere di olio; versate il restante olio in una teglia antiaderente (la tradizione prevede il rame o l’alluminio), coprendone tutto il fondo.

Cuocere in forno preriscaldato a 220° per circa mezz’ora fino a quando la farinata non risulti di un bel colore dorato ;  trascorso questo tempo spegnere il forno e accendere il grill fino a quando la superficie della farinata non risulti di un bel colore nocciola (circa 15 minuti).

Per rendere il piatto più completo, è possibile aggiungere alla pastella verdure precedentemente saltate in padella.

Un po' di storia
L’origine della farinata si perde nella leggenda. Nel XIII sec. le navi erano sospinte, oltre che dal vento, anche dalla forza dei rematori, spesso alimentati con zuppe di legumi ben conservabili come i ceci. Si narra che dopo la battaglia della Meloria (1284), dove i genovesi sconfissero i pisani, le galere della “Lanterna” erano così affollate di riottosi vogatori da perdere la loro proverbiale agilità, e sembra che una di queste imbarcazioni, solcando l’irrequieto Golfo di Biscaglia, si sarebbe trovata per diversi giorni al centro di una tempesta. L’acqua di mare imbarcata provocò gravi danni nella stiva: i ceci si ammollarono, qualche barile di olio si sfasciò, e l’umido ridusse tutto in una purea. Quando ritornò il bel tempo, fu scoperto il disastro arrecato alle provviste. Poiché i viveri erano diventati scarsi, ai prigionieri fu dato da mangiare l’informe cibo. Qualcuno dei pisani rifiutò la purea, abbandonando la scodella sul banco, salvo poi riappropriarsene il giorno dopo, quando i morsi della fame erano diventati irresistibili. Un’intera giornata di esposizione al sole aveva però trasformato la pietanza in una specie di focaccetta, più appetitosa della poltiglia di ceci del giorno precedente. La scoperta casuale interessò i genovesi che ne perfezionarono la ricetta cuocendola in forno a legna, e battezzandola per scherno agli avversari “oro di Pisa”.